Le esplorazioni botaniche in provicia di Sondrio
Frontespizio dell'opera "Prodromo della flora valtellinese" di Giuseppe Filippo Massara
© Museo Civico di Storia Naturale di Morbegno
© Museo Civico di Storia Naturale di Morbegno
Proprio negli anni in cui in Svizzera J. Gaudin ultimava la sua "Flora Helvetica", un medico di origine pavese aveva preso ad esplorare le montagne e le valli del sondriese, inizialmente quasi come un passatempo, ma poi con interesse e con passione, annotando con cura le specie che di volta in volta vi incontrava. Nel 1834, un anno dopo l'uscita dell'ultimo volume del Gaudin, questo medico - botanico diede alle stampe un'opera che raccoglieva tutte le sue osservazioni floristiche, tradotte nell'elenco in ordine alfabetico di 1205 specie fra Crittogame e Fanerogame.
Questo volume, il "Prodromo della flora valtellinese" può considerarsi di buon grado il primo, vero e unico testo sulla flora della provincia sondriese nella sua interezza, progetto mai più tentato in seguito da nessuno. Il nome di questo personaggio era Giuseppe Filippo Massara (1792-1839), che tutti ormai riconoscono come il "padre" della botanica valtellinese.
La storia del Massara è quella di un uomo umile e stimato, ma determinato nelle sue ricerche, la cui vicenda ha contorni quasi romanzeschi, con tanto di truffe e tragica morte del protagonista. Nato e laureatosi in medicina a Pavia, si trasferì nel 1821 a Montagna, dove assunse il ruolo di medico condotto in un'area fra la bassa Valmalenco e il versante orobico nel territorio di Piateda. Per occupare quel po' di tempo libero che gli lasciava la professione, decise di dedicarsi alle scienze naturali, iniziando con la mineralogia e la botanica, ma in seguito indirizzandosi solo verso quest'ultima. Ottimo camminatore, si mise ad esplorare inizialmente le aree del suo mandamento (e sono queste, infatti, ad essere maggiormente citate nel Prodromo), ma ampliando poi via via l'area di interesse.
I dati e campioni raccolti suscitarono ben presto l'interesse di vari "professionisti" della botanica di allora (Comolli, Moretti, Jan, Bertoloni, Host), con i quali Massara cominciò a tenere una regolare corrispondenza, ricavandone un grande aiuto nella determinazione e nel confronto dei campioni. Sebbene, per sua stessa ammissione, percorse forse meno di metà del territorio valtellinese, la quantità di dati che raccolse fu comunque considerevole e solo la morte prematura nel 1839, annegato mentre attraversava l'Adda a cavallo al Porto di Albosaggia, impedì a questa piccola grande figura di "autodidatta" di approfondire le ricerche e di allargarne il raggio d'azione. Lui stesso peraltro, nella prefazione del Prodromo, riconosceva l'incompletezza del suo lavoro e si augurava che potesse essere in seguito ampliato e aggiornato, da lui stesso o da qualcun altro. Il buon Massara sta ancora aspettando.
Questo volume, il "Prodromo della flora valtellinese" può considerarsi di buon grado il primo, vero e unico testo sulla flora della provincia sondriese nella sua interezza, progetto mai più tentato in seguito da nessuno. Il nome di questo personaggio era Giuseppe Filippo Massara (1792-1839), che tutti ormai riconoscono come il "padre" della botanica valtellinese.
La storia del Massara è quella di un uomo umile e stimato, ma determinato nelle sue ricerche, la cui vicenda ha contorni quasi romanzeschi, con tanto di truffe e tragica morte del protagonista. Nato e laureatosi in medicina a Pavia, si trasferì nel 1821 a Montagna, dove assunse il ruolo di medico condotto in un'area fra la bassa Valmalenco e il versante orobico nel territorio di Piateda. Per occupare quel po' di tempo libero che gli lasciava la professione, decise di dedicarsi alle scienze naturali, iniziando con la mineralogia e la botanica, ma in seguito indirizzandosi solo verso quest'ultima. Ottimo camminatore, si mise ad esplorare inizialmente le aree del suo mandamento (e sono queste, infatti, ad essere maggiormente citate nel Prodromo), ma ampliando poi via via l'area di interesse.
I dati e campioni raccolti suscitarono ben presto l'interesse di vari "professionisti" della botanica di allora (Comolli, Moretti, Jan, Bertoloni, Host), con i quali Massara cominciò a tenere una regolare corrispondenza, ricavandone un grande aiuto nella determinazione e nel confronto dei campioni. Sebbene, per sua stessa ammissione, percorse forse meno di metà del territorio valtellinese, la quantità di dati che raccolse fu comunque considerevole e solo la morte prematura nel 1839, annegato mentre attraversava l'Adda a cavallo al Porto di Albosaggia, impedì a questa piccola grande figura di "autodidatta" di approfondire le ricerche e di allargarne il raggio d'azione. Lui stesso peraltro, nella prefazione del Prodromo, riconosceva l'incompletezza del suo lavoro e si augurava che potesse essere in seguito ampliato e aggiornato, da lui stesso o da qualcun altro. Il buon Massara sta ancora aspettando.