La flora e la vegetazione delle zone umide alpine
Paludella Squarrosa, un rarissimo muschio a distribuzione boreo-artica, presente in pochissime località della Lombardia e del Trentino
© Museo Civico di Storia Naturale di Morbegno (Photo: R. Ferranti)
© Museo Civico di Storia Naturale di Morbegno (Photo: R. Ferranti)
LA TORBIERA DI SANTA CATERINA VALFURVA
Appena al di fuori del centro abitato di Santa Caterina Valfurva, sul piano alluvionale creatosi alla confluenza dei torrenti Gavia e Frodolfo, si estende una piccola area torbosa.
L'importanza di questa località è legata al fatto che nel 1837 Garovaglio vi scoprì la prima stazione italiana di Paludella squarrosa, piccola briofita a larga diffusione boreo-artica che trova nelle Alpi italiane le sue stazioni europee più meridionali, limitate peraltro a pochissime località fra la Lombardia e il Trentino. Si tratta dunque di una presenza con significato relittuale, giunta nei nostri territori dalle regioni artiche durante le migrazioni legate al glacialismo quaternario e sopravvissuta solo in poche località.
In Valtellina P. squarrosa è nota, oltre che a Santa Caterina Valfurva, soltanto per la torbiera di Campagneda in Valmalenco, località di recente ritrovamento (Gerdol, 1989), mentre sembra definitivamente scomparsa dal Paluaccio di Oga e non è più stata rinvenuta nelle zone umide intorno a Trepalle (Livigno), dove era stata osservata da Anzi oltre un secolo fa.
La torbiera di Santa Caterina è da molto tempo minacciata dallo sviluppo urbano e turistico del centro abitato. Già Mazzucchelli nel 1927 e Giacomini nel 1939 segnalavano il pericolo di una sua probabile scomparsa, e quindi anche di Paludella squarrosa, in seguito ai ripetuti interventi di bonifica per estendere l'area coltivata a prato.
Attualmente, la torbiera, che si trova chiusa fra una carrozzabile, i prati sfalciati e l'area urbanizzata nei dintorni delle antiche fonti ferruginose, nonché inserita all'interno di un comprensorio sciistico, è limitata a non più di 150-200 m². La vegetazione è piuttosto uniforme e si ricollega ancora a quella descritta a suo tempo dagli studiosi ricordati, sebbene in uno stadio probabilmente più alterato.
Si tratta sostanzialmente di una prateria igrofila a piccole carici (Carex fusca, C. stellulata, C. pauciflora), con Juncus filiformis, Trichophorum caespitosum, Eriophorum angustifolium, Equisetum palustre, Deschampsia caespitosa ed altre erbe, e con uno strato muscinale costituito in alternanza da cuscini di sfagni piuttosto bassi e compressi e da tappeti di altre briofite, di cui le più comuni sono Aulacomnium palustre e Tomentypnum nitens. Paludella squarrosa è tuttora presente, anche se piuttosto rara.
Appena al di fuori del centro abitato di Santa Caterina Valfurva, sul piano alluvionale creatosi alla confluenza dei torrenti Gavia e Frodolfo, si estende una piccola area torbosa.
L'importanza di questa località è legata al fatto che nel 1837 Garovaglio vi scoprì la prima stazione italiana di Paludella squarrosa, piccola briofita a larga diffusione boreo-artica che trova nelle Alpi italiane le sue stazioni europee più meridionali, limitate peraltro a pochissime località fra la Lombardia e il Trentino. Si tratta dunque di una presenza con significato relittuale, giunta nei nostri territori dalle regioni artiche durante le migrazioni legate al glacialismo quaternario e sopravvissuta solo in poche località.
In Valtellina P. squarrosa è nota, oltre che a Santa Caterina Valfurva, soltanto per la torbiera di Campagneda in Valmalenco, località di recente ritrovamento (Gerdol, 1989), mentre sembra definitivamente scomparsa dal Paluaccio di Oga e non è più stata rinvenuta nelle zone umide intorno a Trepalle (Livigno), dove era stata osservata da Anzi oltre un secolo fa.
La torbiera di Santa Caterina è da molto tempo minacciata dallo sviluppo urbano e turistico del centro abitato. Già Mazzucchelli nel 1927 e Giacomini nel 1939 segnalavano il pericolo di una sua probabile scomparsa, e quindi anche di Paludella squarrosa, in seguito ai ripetuti interventi di bonifica per estendere l'area coltivata a prato.
Attualmente, la torbiera, che si trova chiusa fra una carrozzabile, i prati sfalciati e l'area urbanizzata nei dintorni delle antiche fonti ferruginose, nonché inserita all'interno di un comprensorio sciistico, è limitata a non più di 150-200 m². La vegetazione è piuttosto uniforme e si ricollega ancora a quella descritta a suo tempo dagli studiosi ricordati, sebbene in uno stadio probabilmente più alterato.
Si tratta sostanzialmente di una prateria igrofila a piccole carici (Carex fusca, C. stellulata, C. pauciflora), con Juncus filiformis, Trichophorum caespitosum, Eriophorum angustifolium, Equisetum palustre, Deschampsia caespitosa ed altre erbe, e con uno strato muscinale costituito in alternanza da cuscini di sfagni piuttosto bassi e compressi e da tappeti di altre briofite, di cui le più comuni sono Aulacomnium palustre e Tomentypnum nitens. Paludella squarrosa è tuttora presente, anche se piuttosto rara.