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Liceo Classico G. Leopardi - Aulla

Ventisei stagioni in Svizzera

Anni '50. Lettera di un emigrante alla propria famiglia rimasta in Italia.
Anni '50. Lettera di un emigrante alla propria famiglia rimasta in Italia.
© Museo dell'Emigrazione della Gente di Toscana (Photo: Ignoto)
Abbiamo cenato con il latte e sono andata nella camera che sembrava quella della barbie: c'era un lettino e le mucche erano di sotto alla stanza e quando loro si muovevano, c'era di quei campanacci che non si dormiva tutta la notte dal rumore... alla mattina a lavorare loro non capivano e io non li capivo loro... e io parlavo il dialetto di Filattiera e loro mi rispondevano nel loro parlare... insomma era dura la vita...

E io scrivevo a mia mamma: "mamma! non capisco niente! voglio ritornare a casa! ma lei diceva: "no! ormai sei andata e ci devi restare fino alla fine dell'anno" e bisognava starci... e non era come adesso, che fan tutto quello che vogliono... noi siamo andati via tutti e quattro e anche mio fratello, che era piccolo.

Quando ho finito l'anno mi ha detto la padrona: "sei stata proprio brava, ormai ci capiamo, ti ho preso un paio di calze e un foulard per il tuo viaggio fino in Italia". Lei mi aveva messo i soldi in un pezzetto di stoffa con una spilla e venti franchi di pių... e poi mi aveva fatto da mangiare: aveva messo il pane nel latte e poi nell'uovo, lo ha fritto e me l'ha messo nella carta stagnola.

E poi mi ha detto di ritornare l'anno dopo. Non erano cattivi, erano bravi e il lavoro era anche poco, non ho mai lavorato cosė poco... ma il primo anno č stato terribile.
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