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Le piante dell’uomo: il grano saraceno a Teglio in Valtellina

Covoni di grano saraceno detti "casèle"
Covoni di grano saraceno detti "casèle"
© Biblioteca Comunale di Teglio
Solo dopo l'anno della peste e della fame (1630), secondo Messedaglia, il mais cominciò a diventare comune in Lombardia, sino a costituire elemento fondamentale del regime alimentare delle classi rurali.

Conferma in tal senso deriverebbe dalla circostanza che, fino a poco tempo fa, nella zona del milanese il mais veniva generalmente chiamato carlone, in omaggio a Carlo Borromeo che per primo avrebbe sollecitato i contadini lombardi alla coltura del granoturco.

La provincia di Sondrio e, in particolare, Teglio costituiscono da tempo il territorio di elezione di questa coltura, come testimoniato dalla salda tradizione gastronomica legata a piatti tipici quali i pizzoccheri, la polenta taragna e gli sciatt.

La prima fonte storica, che attesta la diffusione del grano saraceno nella regione, è rappresentata da una relazione stilata nel 1616 da Giovanni Guler Von Weinech, governatore grigionese della Valle dell'Adda.

Nel descrivere i prodotti agricoli locali, il governatore non solo menziona la vite (la cui importanza economica appariva già allora determinante), ma riferisce anche, con particolare riguardo alle colture del Terziere di Mezzo (zona compresa tra Sondrio e Tirano), di granaglie e legumi d'ogni sorta: frumento, segale, orzo, avena, piselli, fave, lenticchie, miglio, finocchio, grano saraceno e quanto altro può essere denominato con termini consimili.
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